La prima regola della mia nuova vita, fu quella di porre un cambiamento anche logistico alle mie abitudini
Quando si vive in un appartamento, soprattutto se grande, siamo portati a riempirlo per non sembrarlo spoglio, vuoto. Ogni angolo, ogni ripiano, ogni parete: tutto deve avere tutto.
E’ successo anche a me. La mia casa era diventata piena di oggetti inanimati che dovevano completare un mosaico da un milione di tasselli.
E così accadde che il giorno in cui chiusi la porta blindata per andare a vivere in camper, dovetti fare un scelta radicale: mollare tutto e portare via l’indispensabile.
Ovviamente non solo gli oggetti inanimati ma anche vestiti, scarpe, effetti personali, accessori…
Perché sul camper non si ha a disposizione lo spazio per portare tutto ciò che è stivato in 100mq. E poi è anche una questione di peso superfluo che devi trascinare perennemente.
Ammetto che all’inizio il pensiero di dovermi disfare di tutto ciò mi lasciava un pò contrariato. Perché vedevo l’acquisto di quegli oggetti come la personalizzazione del mio spazio, un distintivo che era ovviamente diverso da tutti gli altri.
Col tempo però ho capito che molte di quelle cose erano solo un’abitudine e non una necessità. Ed ho sfogato e sfociato la mia personalità decorando le pareti del camper semplicemente con una carta che rendesse gli interni come quel distintivo di cui sopra: diversi.

Ecco, in questo modo avevo raggiunto lo scopo senza dover essere schiavo di oggetti inanimati.
C’era però qualche ricordo da cui non volevo staccarmi: una scatolina in legno lavorato a mano, la sciarpa della Samp di mia mamma e un campanaccio.
Proprio quest’ultimo oggetto rappresenta i ricordi di tutta la mia vita.
E’ un campanaccio di Locarno che i miei genitori comprarono nel 1960 durante una gita in Svizzera.
E’ stato appeso sulla porta d’ingresso di ogni casa in cui loro hanno abitato da quell’anno in poi, da Genova a Roma.
Da quando sono nato, quel campanaccio ha accompagnato col suo tipico suono ogni aperura e chiusura delle porte di quegli appartamenti. Pensa a quante volte ha emesso quel DON DON!
Così dopo 61 anni l’esistenza di quell’ inanimato prosegue con me, sperando che i mei figli un giorno possano portare avanti la sua vita magari pensando a ciò che la storia di un semplice oggetto può rappresentare.
